Scelti per Voi - La grande partita delle “terre rare”, tra transizione ecologica, digitalizzazione e geopolitica

19 marzo 2021

Possono 17 elementi della tavola periodica impattare sulla forza e la competitività dei diversi governi del mondo e sugli equilibri geoeconomici e geopolitici del presente e del futuro della nostra società? Semplicemente si, se riferendoci a questi 17 elementi indichiamo le cosiddette “terre rare”. 

Da Perseverance – il rover Nasa appena atterrato su Marte – allo smartphone, dai caccia multiruolo F35 alla Tv ultrapiatta ormai presente nella maggior parte dei salotti fino al laser chirurgico, non esiste dispositivo con elettronica avanzata che, per essere prodotto, non abbia bisogno delle “terre rare” (anche detti “elementi rari” o ancora “metalli rari”).

Le “terre rare” sono essenziali e decisive per la transizione ecologica e la digitalizzazione, i due asset strategici, tra gli altri, del progetto Next Generation UE, che traccia le linee d’indirizzo per il futuro dell’economia e della società dell’Unione Europea ma anche, e soprattutto, di Cina e Stati Uniti. 

Ma di preciso cosa sono queste “terre rare” che stanno cambiando il mondo? Come anticipato, sono un gruppo di 17 metalli (ittrio, scandio e 15 lantanoidi) caratterizzati soprattutto da particolari proprietà magnetiche e conduttive che li hanno resi essenziali per la rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni. A dispetto del nome, questi metalli non sono particolarmente scarsi nella composizione della crosta terrestre. È invece meno frequente trovarne concentrazioni tali da renderne economico lo sfruttamento minerario. Ma la difficoltà principale nell’estrazione deriva dal fatto che nessuno di questi metalli è reperibile in natura in forma pura, rendendo necessari processi di separazione dell’uno dall’altro o da altri elementi, anche radioattivi. Si tratta di lavorazioni che producono grandi volumi di rifiuti nocivi, con alti rischi di contaminazione per l’ambiente (terreni, falde acquifere, corsi d’acqua), per i lavoratori e per le comunità che vivono nei pressi delle miniere (il Science History Institute di Philadelphia con “The History and Future of Rare Earth Elements”, propone un breve e molto efficace saggio su storia e futuro delle “terre rare”).

Benché meno popolari di altri metalli, vista la loro rilevanza cruciale le “terre rare” sono sempre più spesso oggetto di attenzione da parte di politica, istituzioni e media. La questione, infatti, gioca un ruolo fondamentale nella scacchiera delle potenze economiche del mondo, in particolare di Cina e Stati Uniti.

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Lo scorso 16 febbraio il Financial Times dava conto in esclusiva della possibile introduzione di una stretta sui controlli dell’esportazione di “terre rare” da parte del governo cinese con l’intento dichiarato di colpire l’industria militare statunitense. Una minaccia senz’altro credibile. Infatti, a partire dalla fine degli anni Ottanta l’estrazione delle “terre rare”, fino ad allora largamente dominata dagli Stati Uniti, si è spostata sempre più rapidamente in Cina, tanto che oggi Pechino controlla oltre l’80% dell’offerta globale. Le ragioni di un capovolgimento così imponente nelle quote di produzione risiedono per lo più nei costi di estrazione particolarmente alti soprattutto per le tutele rispetto ai rischi di emissioni e scarti radioattivi che il processo di lavorazione comporta.

Il combinato disposto della rilevanza strategica delle “terre rare” e del ruolo dominante della Cina nella loro estrazione e commercializzazione conferisce al tema chiari connotati politici molto prima che economici. Quasi due anni fa, come racconta Il Sole 24 Ore, nel corso di un altro picco di tensione tra Stati Uniti e Cina, il Pentagono premeva con urgenza perché fosse riattivata la lavorazione di alcune “terre rare” in Texas con il diretto supporto di fondi federali. Ai primi di marzo, proprio sulla scia del rinato dibattito sulla necessità per l’Occidente di guadagnare autonomia negli approvvigionamenti di “terre rare”, sempre il Financial Times riportava la notizia della messa a punto di nuovi metodi estrattivi delle “terre rare” molto più sicuri di quelli tradizionali da parte di alcune aziende nordamericane, un passo decisivo nell’attuazione concreta degli indirizzi politici di Washington senza soluzione di continuità tra amministrazioni di colore diverso.

Secondo LinKiesta: “Il futuro delle “terre rare” assomiglia sempre di più a una partita di scacchi. Un insieme di mosse e contromosse tra Cina e Stati Uniti che potrebbero ridisegnare il futuro tecnologico delle due potenze, dell’Europa e del mondo intero. La scacchiera di questo complesso gioco è la lunga filiera della supply chain, quella catena del valore che Washington e Bruxelles vogliono rivedere pesantemente per ridurre la dipendenza da Pechino. […] Si tratta di un tema diventato sempre più centrale dopo lo scoppio della pandemia.

Se nel mondo l’unica economia che è riuscita a ridurre concretamente la propria dipendenza dalla Cina è il Giappone, in Europa un ruolo chiave lo sta giocando la Germania, che nel suo piano di rilancio da 130 miliardi di euro dell’economia post Covid-19 punta molto sull’elettrificazione del settore automobilistico.

Scelti per Voi - La grande partita delle “terre rare”, tra transizione ecologica, digitalizzazione e geopolitica

Come analizzato da Formiche.net, infatti, nell’articolo “Più green (e meno Cina). Così la Germania vuole ripartire”  il vero cambio di direzione verso una low-carbon economy è rappresentato anche dal rifornimento di materie prime essenziali da partner diversi rispetto a Pechino. In questa direzione, Schaeffler Technologies AG, azienda tedesca leader globale nella catena dell’automotive elettrica, ha da poco siglato un accordo con la società australiana Hastings Technology Metals, specializzata nell’estrazione e lavorazione di “terre rare”, per la fornitura di queste ultime per i prossimi 10 anni. "Si tratta sicuramente di un altro significativo esempio di come molti Paesi occidentali stiano avviando una serie di importanti collaborazioni per allentare la presa del Dragone su importanti filiere globali delle “terre rare”. Un segno che questa strategia “degli Stati Uniti e dei loro alleati stia iniziando a funzionare”, ha commentato Angus Grigg, corrispondente di Financial Review. […] Secondo Anna-Michelle Asimakopoulou, membro del Parlamento Europeo e del Partito Popolare […] la pandemia è un’opportunità per […] unire le nazioni europee questa volta intorno all’obiettivo di un’autonomia strategica comune. Questo ci consentirebbe di riposizionarci come Unione e vero attore geopolitico”.

In questa direzione muove anche il policy paper sulle implicazioni geopolitiche del Green Deal – The geopolitics of the European Green Deal – redatto congiuntamente dallo European Council on Foreign Relations (ECFR) e dal think tank Bruegel. I cinque autori propongono sette azioni per gestire gli aspetti geopolitici del Green Deal europeo. La diversificazione degli approvvigionamenti delle “terre rare” per ridurre la dipendenza dalla Cina è al secondo posto. Una precondizione quest’ultima che – secondo la stessa Commissione Europea nel suo “Action Plan on Critical Raw Materials” – è indispensabile per garantire la leadership industriale dell'Europa nelle tecnologie del futuro. 

L’ultimo segnale forte verso la sovranità tecnologica e l’autonomia strategica di Stati Uniti ed Unione Europea è rappresentata dal “progetto transatlantico anche sulle “terre rare””. 

Secondo quanto raccontato sempre da Formiche.net all’inizio di questo mese: “(l’) Accordo tra aziende canadesi, americane ed europee per creare una supply chain in Occidente e mitigare i rischi di un persistente dominio della Cina in una filiera industriale critica […] rappresenta un segnale fortemente positivo per la sovranità tecnologica e l’autonomia strategica di Stati Uniti e Unione europea, in un’ottica di cooperazione industriale tra i principali player tra le due sponde dell’Atlantico. […] Si tratta di un primo e necessario passo per il reshoring di importanti stadi industriali legati alla trasformazione delle “terre rare” in valore aggiunto. […] (Tuttavia) La spinta del mercato, in una fase di intensa competizione geopolitica e tecnologica, non sembra poter mitigare la percezione dei policymaker europei e americani dei rischi lungo questa filiera strategica. Soprattutto se l’attivismo cinese in altri mercati, alimentato dalle ambizioni tecno-industriali di Pechino, continuerà a scuotere gli equilibri

 
 
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