Scelti per voi - Brexit: deal or no deal? Questo è il dilemma

23 dicembre 2020

«Ci penso ogni singolo giorno: al referendum, alla sconfitta, alle conseguenze, e alle cose che si potevano fare diversamente. Sono preoccupatissimo per quello che succederà». Queste le parole dell’ex Primo Ministro inglese David Cameron al Times in una delle poche interviste rilasciate alla stampa. 

David Cameron, leader dei Tory (il Partito conservatore inglese) e residente a Downing Street 10 dal 2010 al 2016, ha indetto il 23 giugno 2016 un Referendum popolare sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, anche noto come referendum sulla "Brexit". Cameron ha fatto la campagna per rimanere nell’Unione. L’esito delle votazioni? Il 51,89% favorevole alla Brexit, contro il 48,11% che ha votato per rimanere nell'Unione Europea. L’11 luglio 2016 David Cameron lascia la leadership del Partito e due giorni dopo si dimette da Primo Ministro. A subentrare, la seconda donna di sempre dopo Margaret Thatcher a varcare la porta di Downing Street 10: Theresa May

Ma perché si è arrivati all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea? Cos’ha spinto i cittadini inglesi a votare per il “leave” e cosa sta accedendo in questi giorni? 

Le motivazioni alla base della Brexit sono molteplici e la storia ci racconta che da sempre il rapporto tra Regno Unito e Unione Europea è stato segnato da una certa dose di scetticismo. Un interessante approfondimento è pubblicato sul blog “Brexit Cowuntdown” della Political Studies Association.

Infatti, già a seguito della fine della Seconda Guerra Mondiale e all’inizio della Guerra fredda, quando ancora stava nascendo tra i principali Paesi occidentali l’idea di Europa, Londra decise di puntare tutto sulla “special relationship” con Washington e di rinunciare a porre le prime basi del processo europeista. Un atteggiamento “euroscettico” culminato nella scelta certamente significativa di creare nel 1960 la European Free Trade Association (Efta), un’area di scambio alternativa a quella europea continentale. Rivelatasi un fallimento in confronto al successo del mercato comune europeo, nel 1973 il Regno Unito ha deciso di entrare a far parte dell’allora Comunità Economica Europea, ma a condizioni particolari fatte “su misura”. La decisione di Londra fu dettata dalle crescenti opportunità economiche e non da un ritrovato sentimento europeista. 

Ma oltre allo storico atteggiamento inglese euro-scettico, anche gli effetti della crisi economica del 2008 hanno contribuito a favorire il “leave”. Darling: Brexit would not have happened without banking crisis”, scrive il The Guardian. La questione della disoccupazione e dell’immigrazione sono stati i due “cavalli di battaglia” di tutto il movimento governativo e popolare a favore della Brexit.

Dal quel 23 giugno 2016 che ha segnato l’inizio del tormentato processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sono passati quattro anni e mezzo. Theresa May dopo innumerevoli tentativi e il crescente malcontento dei parlamentari e della popolazione ha rassegnato le sue dimissioni il 24 maggio 2019. Ha avuto così inizio il disegno di “BoJo”. Un solo obiettivo: “get Brexit done”

Boris Johnson, diventato Primo Ministro il 24 luglio 2019 insiste sulla data del 31 ottobre 2019 per l'uscita dalla Ue, "altrimenti meglio morto in un fosso" dice lui e titola il The Guardian. Fallimento. È il 17 ottobre la data in cui viene trovato un accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea. L'intesa prevede un periodo transitorio per “sistemare” i dossier più sensibili. La deadline, “deal” o “no deal”, è il 31 dicembre 2020. 

Scelti per voi - Brexit: deal or No deal? Questo è il dilemma

Mancano pochi giorni e sul tavolo non è ancora stata risolta la questione delicata della concorrenza e degli accordi commerciali. L’assenza di un accordo di natura commercialespiega il politologo Sergio Fabbriniavrà degli effetti soprattutto per le imprese e per gli scambi di beni e servizi tra le due parti. In particolare, l’effetto più eclatante è sicuramente costituito dall’applicazione reciproca dei dazi sulle merci che saranno importate nel Regno Unito dall’Unione Europea e viceversa

Gli eurodeputati avevano fissato domenica 20 dicembre come ultimo termine per approvare un accordo commerciale tra Londra e Bruxelles. Fallimento. Dal 1° gennaio 2021 finirà automaticamente il periodo di transizione. Lo spettro del “no deal” sembra essere sempre più vicino e, a meno di un accordo dell’ultima ora, la conclusione della vicenda dovrebbe portare alla mancata previsione di un accordo commerciale. 

Il vero asse portante della contrattazione sono le regole della concorrenza per le quali Bruxelles non può permettersi asimmetrie a favore di Londra. Infatti – scrive Attilio Geroni sull’inserto cartaceo de Il Sole24Ore di sabato 19 dicembre - “se c’è una cosa che Londra finirà per rimpiangere è la capacità negoziale dell’Unione europea in tema di intese di libero scambio”. Soprattutto ora che la “special relationship” con gli USA si presenta sotto una luce completamente diversa dopo la vittoria di Joe Biden e il venir meno della sponda sovranista di Donald Trump. 

La ministra degli Esteri spagnola Arancha Gonzalez Laya ha sintetizzato in una recente intervista a Sky News la contraddizione e ipocrisia di Londra nella fase finale delle trattative: “Un negoziato commerciale non si basa sull’affermazione della propria sovranità ma sull’interdipendenza. Un concetto, quest’ultimo, che BoJo ha fatto finta di non conoscere. 

Il dossier più chiacchierato? La pesca. Come scrive Matteo Castellucci per l’LinKiesta: “Nel trittico di dossier su cui manca l’intesa, da mesi, accanto ai massimi sistemi (gli aiuti di Stato e il level playing field, cioè il sistema di contrappesi e sanzioni se la Gran Bretagna violasse in futuro gli standard comunitari) continua a figurare la pesca. In termini economici, il comparto è minuscolo per il Regno Unito: vale 436 milioni di sterline all’anno, meno dei grandi magazzini di Harrods, contro i 132 miliardi della City. In un’epoca di risorgente isolazionismo, però, è diventato l’icona della «sovranità mutilata» della propaganda di Brexit”.

Per tutti gli aggiornamenti, approfondimenti e commenti sulla questione “Brexit”, la BBC dedica uno spazio ad hoc

 
 
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