«Ci penso ogni singolo giorno: al referendum, alla sconfitta, alle conseguenze, e alle cose che si potevano fare diversamente. Sono preoccupatissimo per quello che succederà». Queste le parole dell’ex Primo Ministro inglese David Cameron al Times in una delle poche interviste rilasciate alla stampa.
David Cameron, leader dei Tory (il Partito conservatore inglese) e residente a Downing Street 10 dal 2010 al 2016, ha indetto il 23 giugno 2016 un Referendum popolare sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea, anche noto come referendum sulla "Brexit". Cameron ha fatto la campagna per rimanere nell’Unione. L’esito delle votazioni? Il 51,89% favorevole alla Brexit, contro il 48,11% che ha votato per rimanere nell'Unione Europea. L’11 luglio 2016 David Cameron lascia la leadership del Partito e due giorni dopo si dimette da Primo Ministro. A subentrare, la seconda donna di sempre dopo Margaret Thatcher a varcare la porta di Downing Street 10: Theresa May.
Ma perché si è arrivati all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea? Cos’ha spinto i cittadini inglesi a votare per il “leave” e cosa sta accedendo in questi giorni?
Le motivazioni alla base della Brexit sono molteplici e la storia ci racconta che da sempre il rapporto tra Regno Unito e Unione Europea è stato segnato da una certa dose di scetticismo. Un interessante approfondimento è pubblicato sul blog “Brexit Cowuntdown” della Political Studies Association.
Infatti, già a seguito della fine della Seconda Guerra Mondiale e all’inizio della Guerra fredda, quando ancora stava nascendo tra i principali Paesi occidentali l’idea di Europa, Londra decise di puntare tutto sulla “special relationship” con Washington e di rinunciare a porre le prime basi del processo europeista. Un atteggiamento “euroscettico” culminato nella scelta certamente significativa di creare nel 1960 la European Free Trade Association (Efta), un’area di scambio alternativa a quella europea continentale. Rivelatasi un fallimento in confronto al successo del mercato comune europeo, nel 1973 il Regno Unito ha deciso di entrare a far parte dell’allora Comunità Economica Europea, ma a condizioni particolari fatte “su misura”. La decisione di Londra fu dettata dalle crescenti opportunità economiche e non da un ritrovato sentimento europeista.
Ma oltre allo storico atteggiamento inglese euro-scettico, anche gli effetti della crisi economica del 2008 hanno contribuito a favorire il “leave”. “Darling: Brexit would not have happened without banking crisis”, scrive il The Guardian. La questione della disoccupazione e dell’immigrazione sono stati i due “cavalli di battaglia” di tutto il movimento governativo e popolare a favore della Brexit.
Dal quel 23 giugno 2016 che ha segnato l’inizio del tormentato processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sono passati quattro anni e mezzo. Theresa May dopo innumerevoli tentativi e il crescente malcontento dei parlamentari e della popolazione ha rassegnato le sue dimissioni il 24 maggio 2019. Ha avuto così inizio il disegno di “BoJo”. Un solo obiettivo: “get Brexit done”.
Boris Johnson, diventato Primo Ministro il 24 luglio 2019 insiste sulla data del 31 ottobre 2019 per l'uscita dalla Ue, "altrimenti meglio morto in un fosso" dice lui e titola il The Guardian. Fallimento. È il 17 ottobre la data in cui viene trovato un accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea. L'intesa prevede un periodo transitorio per “sistemare” i dossier più sensibili. La deadline, “deal” o “no deal”, è il 31 dicembre 2020.