Più smart working, più comunicazione interna aziendale. Per lavorare “agilmente” dobbiamo anche comunicare più “intelligentemente”. Lo impongono i tempi moderni, inaugurati dall’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus: se fino all’autunno del 2019 l’Osservatorio del Politecnico di Milano sullo smart working contava in Italia mezzo milione di lavoratori agili, l’arrivo della pandemia ha più che triplicato questa cifra, portandola – secondo il Ministero delle Politiche sociali – a più di un milione e 800 mila lavoratori attivi in modalità di “lavoro agile”.
Per ragioni sanitarie, dunque, gli uffici sono stati “smembrati”. La diffusione dello smart working - accompagnata dalla temporanea semplificazione degli adempimenti normativi previsti per la sua attivazione - ha salvato tanti posti di lavoro e, allo stesso tempo, ha realizzato il desiderio di molti professionisti di poter ottimizzare, sincronizzandola, la propria agenda privata e lavorativa. La soddisfazione generale è testimoniata da un sondaggio effettuato dalla società Wyser durante l’estate, secondo il quale quasi due lavoratori su tre sarebbero disposti a cambiare lavoro pur di non rinunciare allo smart working.
Se il bilancio degli smart worker è positivo (piace l’“umanizzazione del lavoro”), altrettanto è quello delle aziende (collaboratori più felici, collaboratori più produttivi), salvo risolvere alcuni “bachi” del “sistema agile”. Si è parlato, ad esempio, della necessità di introdurre in azienda la figura del “capo del lavoro da remoto” o “head of remote work”.
Ne ha riflettuto in articolo, pubblicato su Linkedin, Darren Murph, “head of remote” negli Stati Uniti, ripreso da tante testate italiane. La formula prospettata dal giornalista americano non è risolutiva, a mio avviso, della mancanza di confronto quotidiano causata dallo smart working. Pensiamo a realtà lavorative di medie e grandi dimensioni: siamo sicuri che uno, due o pochi “capi del lavoro da remoto” sarebbero in grado di arginare la perdita di informazioni e relazioni dovuta all’estrema polarizzazione di centinaia o migliaia di posti di lavoro? Se lo smart working è benvenuto (laddove la sua adozione sia praticabile), non si può dire altrettanto della perdita di unità al lavoro.