Gli scenari futuri della manifattura italiana

Quando ho scritto la prima stesura di questo articolo (non molto tempo fa), le cose stavano diversamente. Molto diversamente.

Del virus se ne sentiva parlare, ma da lontano. Sembrava un problema legato alla Cina, qualcosa che forse ci avrebbe toccato, ma marginalmente. Poi, il primo caso in Italia, l’esplosione del contagio, l’allargamento all’Europa, la pandemia. E da allora tutto è cambiato. Anche questo articolo.

Per la prima volta siamo di fronte a una crisi sanitaria, economica e sociale che non ha confronti. Diversamente dal passato, non è circoscritta ad uno o due settori, ma colpisce trasversalmente l’economia mondiale. Molti la paragonano al 2008, senza fare i conti con il fatto che allora furono messi duramente alla prova il settore finanziario e quello immobiliare. Oggi ne siamo coinvolti tutti. Questa crisi non è mossa da fattori endogeni. È il risultato di un agente esterno che non conosciamo, che non riusciamo a controllare, di cui difficilmente possiamo stimare l’impatto.

Nella prima versione di questo articolo, prendendo spunto dal Libro Bianco sul Futuro della Fabbrica”, realizzato da Assolombarda in collaborazione con il Politecnico di Milano, il mio invito era quello ad abbracciare la “cultura del cambiamento”, ad accogliere le innovazioni portate dall’informatica, dal digitale, dall’intelligenza artificiale. Positivamente e senza timore. Credo che questo sia ancora un punto centrale, perché mai come in questo momento la conoscenza e la competenza dimostrano la loro validità

E se è vero che il mondo del lavoro evolverà nei prossimi trent’anni verso professioni che ancora non riusciamo ad immaginare, a maggior ragione oggi, alla luce di ciò che sta accadendo, dobbiamo ipotizzare nuovi scenari che non riguarderanno solo l’occupazione, ma l’intera società. Dobbiamo tracciare orizzonti ampi e condivisi.

Il “Made in Italy” saprà riprendersi proprio grazie alla sua inventiva. Grazie alla capacità progettuale delle sue numerose imprese, inserite a pieno titolo in filiere mondiali. Aziende che vivono sulla loro pelle tutti i limiti di questa minaccia, che non possiamo pensare di risolvere a livello locale. Abbiamo bisogno di un’Europa compatta, solidale e coraggiosa. Abbiamo bisogno di politiche efficaci, capaci di rimodulare il rapporto tra imprese e organi di governo.  

Quello che questa crisi ci insegna è che lo Stato è un elemento centrale nella regolazione del mercato e nelle dinamiche di sviluppo industriale. Che il suo ruolo è fondamentale nella gestione di momenti di recessione. Ma proprio per questo ancora più forte si sente il richiamo delle imprese a piani di sviluppo congiunti e duraturi, che non si limitino a piccoli interventi, ma che siano in grado di progettare il futuro con provvedimenti solidi, con misure strutturali e ambiziose. Con politiche fiscali capaci di garantire l’ordine sociale in momenti in cui la liquidità di un’azienda fa la differenza tra la vita e la morte. 

I bisogni delle nostre aziende rispecchiano lo stato del Paese. Il loro futuro è quello dei lavoratori e delle loro famiglie. In questi ultimi tempi si sente molto parlare della centralità della persona, dei suoi bisogni, della sua tutela, del suo benessere. Niente di più vero in queste condizioni drammatiche in cui molte imprese non hanno smesso di rendersi operative per garantire i servizi primari. 

Nella prima versione di questo articolo avevo preparato una lista di aggettivi per descrivere la Fabbrica del Futuro, che riporto a seguire. Ma mi chiedo se siano ancora validi. Se non valga la pena aggiungerne almeno un altro: “resiliente”, ovvero in grado di adattarsi al cambiamento e alla necessità. Lo hanno dimostrato le tante aziende che hanno saputo riconvertire la loro produzione per far posto a camici, mascherine e disinfettanti. 

Lo ha dimostrato la centralità del rapporto tra università e impresa. La ricerca ha immediatamente aperto le porte dei propri laboratori alle aziende per testare nuove soluzioni. E così se un tempo in Lombardia le imprese che producevano mascherine si contavano sulle dita di una mano, oggi, grazie a Regione Lombardia e Assolombarda, attraverso il Sistema Confindustriale e la propria rete di stakeholder nazionali e internazionali, diverse realtà hanno iniziato a produrre a pieno regime strumentazioni sanitarie che necessitano di certificazioni. Il Politecnico si è reso disponibile a testarne i materiali. Così come si è impegnato a produrre disinfettanti da distribuire alla Protezione Civile. Così come si è reso operativo per aiutare una grande azienda del settore sportivo a tramutare maschere da snorkeling in strumenti salva vita. 

Lo ha poi dimostrato l’uso intelligente e responsabile che la maggior parte delle imprese ha fatto dello smart working, che si è allargato dalle grandi realtà alle più piccole. Che ha testato la tenuta delle infrastrutture di rete. Che ha rimesso di nuovo sotto i riflettori la necessità di investimenti in innovazione. 

Gli scenari della manifattura italiana - Articolo a firma di Ferruccio Resta, Rettore Politecnico di Milano

Lo ha dimostrato, non ultimo, l’accelerazione verso l’e-commerce, che ha spinto molte aziende a soddisfare i bisogni di intere fasce sociali, come gli anziani, che non possono muoversi al di là delle mura domestiche. 

Rileggendo ora con voi la lista degli aggettivi che avevo preparato, direi che questi sono ancora validi. La Fabbrica del Futuro sarà sempre di più:

Attenta – Capace di mantenere la persona al centro delle proprie azioni, di valorizzarne l’intelligenza creativa e tutto ciò che non può essere replicato dalle macchine (intuito, empatia, creatività). Impegnata nel mantenere alta la qualità di vita del lavoratore.

Attiva – Inserita nel tessuto urbano, punto di riferimento sul territorio insieme agli altri attori pubblici e privati.

Educativa – Chiamata a trasmettere il sapere alle nuove generazioni e a produrne di nuovo. Ad operare in sinergia con le istituzioni formative (scuole, università, istituti tecnici superiori) in percorsi di crescita continua. 

Sostenibile – Pronta a nuovi modelli di business “rigenerativi”, tanto per i singoli prodotti, quanto per interi sistemi produttivi, pensati per essere riutilizzati e recuperati. 

Iperconnessa – Dotata delle tecnologie digitali dell’Industria 4.0 in cui la grande base di dati disponibile diventerà ancor più strategica nella fase decisionale e non solo nell’operatività. 

Personalizzata – Lontana dalla standardizzazione a cui siamo abituati. Un passaggio epocale in un mercato che chiederà sempre di più prodotti e soluzioni ad hoc, secondo le esigenze del singolo e del momento. 

Affidabile – Dalla velocità di reazione e dalla capacità di resistere ai rischi globali dipenderà il domani delle nostre aziende, da un punto di vista tecnologico, gestionale e operativo. 

Ma a questi sette attributi, oltre che “resiliente” aggiungerei anche “collaborativa” e “solidale”, perché in queste condizioni abbiamo la certezza che nessuno possa farcela da solo. Ma soprattutto la Fabbrica del Futuro, grande o piccola che sia, si configurerà sempre più come il nodo di una rete, composto non solo da attori economici, ma anche da istituzioni e da soggetti decisionali responsabili, che remano tutti nella stessa direzione

Da questo dipenderà la nostra capacità di rialzarci dopo una brutta caduta che ha messo l’Italia e il mondo intero in ginocchio. Perché oltre all’emergenza, dobbiamo saperne affrontare le conseguenze sul piano economico e sociale, consapevoli che molte aziende rischiano di non riaprire. Privando così il sistema Italia di competenze, relazioni, opportunità e capitale umano. 

Quando l’emergenza finirà, sapremo farci trovare tutti pronti. Solo così potremo ripartire. Uniti, coraggiosi e responsabili. Con un’ultima richiesta: liberarci di molta di quella burocrazia che ci ha vincolato in questi giorni, incentivando procedure più snelle che agevolino i percorsi di ripresa.

 
 
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