Ritratto di Brianza, terra di cambiamento

“Terra di bulloni, maniglie e cerniere per mobili”. La definizione di Brianza è di Paola Cereda, scrittrice di talento, semifinalista al Premio Strega.

speciale: Territorio

Nel suo romanzo d’esordio, “Della vita di Alfredo”, nel 2010, raccontava così, in modo lieve, la sua Brianza e i Natali in attesa di ricevere una scatola di “bulloni di cioccolato”.

La Brianza è anche questa: un paesaggio che ha saputo evolversi da agricolo a prevalentemente industriale, un modello fatto di famiglie, comunità territoriale, ingegno, capacità di adattarsi ai cambiamenti, resilienza nell’attraversare i periodi più bui.

Non è un luogo comune quando si racconta di brianzoli “casa e lavoro”, di grandi aziende che hanno preso il via da un’idea geniale, in spazi ristretti, spesso davvero nel laboratorio accanto all’abitazione.

Il modello brianzolo è un unicum. È fatto di aziende che sono per gran parte ancora familliari da generazioni, imprenditori illuminati che hanno saputo investire garantendone la sopravvivenza nel tempo e lo sviluppo della propria comunità. 

Ci sono saperi che si sono perduti: Monza negli anni venti era capitale del cappello, aveva 12mila addetti ed era sede dell’Unione italiana e internazionale dei Cappellai. Il prodotto non è sopravvissuto al cambio della moda e alla diffusione dell’automobile. Un sapere che invece resiste e ha saputo trasformarsi è quello della lavorazione del legno. Qui la storia ci riporta al 1777, alla costruzione di Villa Reale a Monza, all’arrivo in città di un certo Giuseppe Maggiolini da Parabiago. Nella sua bottega si formano i grandi artigiani del legno e il lavoro non manca: ci sono da arredare le ville di delizia che nel frattempo sorgono in ogni comune brianzolo, sulle dolci colline dove l’aria (al tempo) era salubre.

Il mobile industriale, l’oggetto di design, ha qui le sue radici. 

Anche in questo caso Villa Reale gioca un ruolo di primo piano: è il 1919, un secolo fa, quando Vittorio Emanuele III firma un decreto di cessione del bene ai comuni di Monza e Milano. Nasce nel 1922, nell'ala meridionale della reggia, l’Istituto Superiore delle Industrie Artistiche. L’anno successivo c’è la prima Biennale d’arte che prosegue per quattro edizioni fino al 1930 per poi diventare Triennale e trasferirsi a Milano e dare vita a quell’evento che è padre della settimana del Design di oggi.

Il palcoscenico è milanese, ma il saper fare è nelle aziende brianzole, capaci di richiamare i grandi nomi del design o di dare forma con l’abilità delle proprie maestranze a quelle idee partorite dalle teste dei creativi.

Ritratto di Brianza particolare

Non si può raccontare la Brianza tralasciando un altro distretto che l’ha plasmata, anzi il distretto che oggi più la rappresenta: quello dell’industria meccanica. Di viti e bulloni abbiamo già parlato, ma non possiamo non citare il caso Egidio Brugola che nel 1926 fonda a Lissone le Officine meccaniche che portano il suo nome. Quella chiave esagonale oggi è per tutti una “brugola”. Anche se le Officine Egidio Brugola hanno aperto cinque anni fa uno stabilimento a Detroit, il quartier generale è ben ancorato a Lissone.

La delocalizzazione non fa parte del DNA dei brianzoli che hanno una forte propensione all’export, sono sempre alla ricerca di nuovi mercati, ma restano ancorati alla propria terra. In Brianza le fabbriche restano sul territorio, anche perché qui si producono oggetti ad elevato valore aggiunto e ridotte dimensioni e solo in Brianza c’è quella catena di fornitori e quel saper fare tramandato da generazioni che non è il caso di cercare altrove.

L’industria manifatturiera è la ricchezza di questa terra fatta di un tessuto di piccole e medie imprese che è difficile trovare altrove e che hanno contribuito a fare della Brianza la “locomotiva d’Italia”, uno dei motori industriali a livello europeo. Aziende che hanno saputo resistere alla crisi del 2008, anzi, incredibilmente ci sono aziende “resilienti” le cui performance sono migliorate proprio nel post-crisi.

La Brianza ha superato anni bui puntando sull’innovazionesapendo gestire il ricambio generazionale all’interno delle aziende, combinando il manifatturiero con le nuove tecnologie.

Certo le performance delle aziende brianzole non possono prescindere dal contesto globale e gli ultimi dati, presentati dalla ricerca Top500+” a cura del Centro Studi di Assolombarda e PwC in collaborazione con Editoriale Il Cittadino e sostenuto da Banco BPM, indicano una fatica della Brianza a giocare il suo ruolo di traino del Paese. Le aziende del territorio pagano il conto della guerra dei dazi che ha portato ad un crollo delle esportazioni dell’8,2%, ma soprattutto preoccupa il ritorno alla crescita zero delle imprese.

Non è tempo di allarmismi, ma di rimboccarsi le maniche come è nel DNA della gente di Brianza. Solo che per una volta gli imprenditori di queste parti si sono stancati di essere considerati i primi della classe e quindi meno bisognosi di attenzioni. Questa volta chiedono a gran voce una politica industriale del Paese che li aiuti a fare bene. Dalla Brianza arriva la richiesta di semplificazione della burocrazia, di infrastrutture fisiche (la metropolitana tra Milano e Monza si attende da 50 anni), di investimenti su strade e porti, di infrastrutture tecnologiche.

 
 
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