La generazione mobile - gli expat o i glomigrants, parola coniata dai ricercatori Maddalena Tirabassi e Alvise Del Pra’ per definire il popolo giovane e glocal che ha come capitale istruzione, professionalità e plurilinguismo - ha un’identità fluida e complessa, ma si ritrova in ciò che è insieme uno spazio fisico, una radice culturale e un orizzonte di futuro, laddove il presente è percorso e lacerato da istanze di chiusura e paure dell’altro. Ai tempi di un’incerta Brexit e di sovranismi dilaganti, mentre i grandi temi delle migrazioni umane e del futuro del pianeta non trovano risposte adeguate e il dibattito pubblico è monopolizzato dalla dicotomia tra élites e popolo, alla vigilia di elezioni europee che saranno un severo duello tra le forze in campo, l’idea di Europa cammina, letteralmente e simbolicamente e aldilà delle tante critiche alle sue declinazioni politiche, sulle gambe di chi la vive come spazio aperto alla propria esperienza di vita. Lo dicono le ricerche condotte tra i giovani dell’Unione, lo ribadiscono, in diretta, le loro voci.
"L’essere europei? Una dimensione di normalità per noi e allo stesso tempo un privilegio e un peso quando ti misuri con la vita degli altri, con un’amica bosniaca costretta a lasciare la Germania e i suoi progetti, così simili ai tuoi, perché non ha il tuo stesso passaporto", è l’opinione di Eleonora Martinelli, 26enne analista in una grande società milanese, dopo quasi tre anni spesi tra Barcellona, Venezia, Parigi e Berlino per concludere un master in economia del programma Erasmus mundus insieme ad altri 50 studenti europei ed extraeuropei.
Un privilegio, secondo lei, l’essere figli del vecchio continente oppure, a dire di Vittorio Bottini che alle soglie dei 24 anni studia lettere classiche a Oxford e ha già in tasca la proposta di un Phd in Canada, "la ricchezza di una doppia identità, la possibilità di poter mantenere più facilmente le relazioni, la coesistenza di importanti tradizioni culturali". E ancora, se si ascolta Katerina Argyroudi che, dopo aver studiato in Italia sta inanellando qui una serie di esperienze di lavoro nell’industria del lusso, questa bistrattata Europa può, proprio in virtù di una radice culturale comune, farti sentire un po’ a casa e comunque protetta quando morde la nostalgia per la spiaggia greca di Kyos sulla quale sei cresciuta e dove vive la tua famiglia.
Europa, dicono questi ragazzi con la valigia unanimi nel pensare il proprio futuro come tutto da scrivere pur con le difficoltà che la mobilità comporta, significa accesso all’istruzione, un welfare con molte pecche ma che altrove non esiste, un pacchetto un po’ ammaccato, ma ancora in piedi, di diritti di cittadinanza. E significa la lunga pace garantita ai suoi cittadini dal dopoguerra a oggi e la mai abbastanza apprezzata, in tempi di muri e barriere, possibilità di libera circolazione. Semmai ci vorrebbe più Europa e più cooperazione ad esempio sulla questione delle migrazioni dice Vittorio Bottini e servirebbe, argomenta Katerina, un’Europa politica capace di accogliere e anche di dare sostegno e attenzione alle differenze e alle esigenze di ogni paese: non è accaduto così in Grecia durante la crisi del debito che, ricorda, ha tra l’altro causato una vera emorragia di giovani migrati all’estero. E sarebbe utile, aggiunge Eleonora, più esperienza concreta e cultura diffusa dell’Europa e delle complessità di un’unione politica: "Tornando in Italia si avverte la cesura con chi non ha sperimentato questa opportunità di apertura”, dice sottolineando come sia fondamentale la circolarità intraeuropea, vero problema per un’Italia che perde giovani formati e non ne attrae. "Bella l’Italia, dicevano i miei colleghi di master, ma non veniva considerata come una possibile scelta per il futuro”.