Solo il 12% della nostra produzione proviene dal riciclo, l’economia pre pandemia usava, in termini di risorse, l’equivalente di 1,5 pianeti. Nella UE produciamo 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, abbiamo incrementato del 40% i nostri rifiuti tessili tra il 1996 e il 2012.
Francesco Fatone, professore Ordinario di Ingegneria Chimica ed Ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche, membro del direttivo di Ecomondo con responsabilità dell’intera area tematica Acqua, cita questi dati nel suo intervento che apre il volume “Pensare e fare economia circolare. Dal Green New Deal europeo ai territori, come trasformare la strategia in impianti” a cura del Gruppo CAP.
Professore lei si occupa di sistemi e tecnologie innovativi per implementare percorsi di economia circolare nella gestione del ciclo dell’acqua e dei rifiuti. È questa la strada da seguire per invertire la rotta?
Sono dati oggettivi e occorre una transizione veloce e sistemica verso l’economia circolare. Ogni anno si ricorda l’overshoot day ovvero il giorno nel quale l'umanità consuma interamente, con forte anticipo, le risorse prodotte dal pianeta nell’intero anno. Nel 2020, con il lockdown, avevamo fatto un grosso recupero arrivando al 22 agosto. Quest’anno siamo a livello pre pandemia e a luglio avevamo già consumato tutto quanto la terra produce in un anno. Le politiche e i programmi europei su questo stanno investendo molto, quello del Green Deal è un concetto consolidato, confermato e rafforzato con NextGenerationEU, sono state allocate moltissime risorse. Mi viene da dire che il cambio di passo deve registrarsi o adesso o mai più. Anche perché probabilmente una seconda possibilità non l’avremo.
I settori che hanno potenzialità enormi per l’economia circolare secondo l’Unione Europea sono l’elettronica, il tessile, le costruzioni, l’alimentare, la plastica e l’acqua. Proprio l’acqua è per sua natura circolare, ma l’utilizzo umano deteriora il prodotto e rende più complesso il riuso. Come si deve agire concretamente?
Per un’economia circolare dell’acqua, ma anche di altre risorse dobbiamo avere chiari tre obiettivi: eco-efficientare e recuperare risorse in modo sostenibile, per un successivo utilizzo sicuro, perché l’economia circolare è pur sempre economia e quindi deve essere anche vantaggiosa sul lato ambientale, sociale e finanziario. Per questo bisogna guardare all’intera filiera. Sul fronte della sicurezza, per la salute e per l’ambiente, c’è sempre un certo scetticismo quando si parla di utilizzo delle acque reflue per l’irrigazione di campi coltivati, bisogna avere un’analisi del rischio basata su approccio e dati scientifici, per supportare le decisioni di aziende ed enti. Infine la terza sfida è la zero pollution, ovvero nel recuperare e riciclare devo diminuire l’inquinamento locale e globale, oltre che decarbonizzare.
A che punto siamo in Italia?
Partiamo da uno scenario potenzialmente molto vantaggioso perché il nostro Paese si caratterizza anche per la presenza di numerose multiutility, che già nel loro business sono multisettoriali, si occupano ad esempio di acqua, rifiuti, energia. Questa nostra tipicità, unica, è un vantaggio perché implementa sul campo una visione di insieme e connette diversi settori tra loro simbiotici e sinergici, ma spesso separati.
Ci sono dati positivi a livello italiano che forse sorprendono. Il valore della produzione bioeconomica italiana è terza in Europa con 345 miliardi dopo la Germania (414) e la Francia (359)
Siamo stati tra i primi a diminuire i quantitativi di fosforo nei detergenti già negli anni 80, i primi a recepire la Direttiva Europea per l’eliminazione dei sacchetti di plastica. Ciò che ci frena è la mancanza di un quadro legislativo certo e i tempi e la complessità dell’apparato autorizzativo che spesso rende l’investitore diffidente.