Pensare e fare economia circolare, il cambio di passo necessario al mondo

L’Italia è avvantaggiata grazie alle multiutility e alla loro visione d’insieme multisettoriale

a cura di Rosella Redaelli

18 novembre 2021

Solo il 12% della nostra produzione proviene dal riciclo, l’economia pre pandemia usava, in termini di risorse, l’equivalente di 1,5 pianeti. Nella UE produciamo 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, abbiamo incrementato del 40% i nostri rifiuti tessili tra il 1996 e il 2012.

Francesco Fatone, professore Ordinario di Ingegneria Chimica ed Ambientale presso l'Università Politecnica delle Marche, membro del direttivo di Ecomondo con responsabilità dell’intera area tematica Acqua, cita questi dati nel suo intervento che apre il volume “Pensare e fare economia circolare. Dal Green New Deal europeo ai territori, come trasformare la strategia in impianti” a cura del Gruppo CAP.

Professore lei si occupa di sistemi e tecnologie innovativi per implementare percorsi di economia circolare nella gestione del ciclo dell’acqua e dei rifiuti. È questa la strada da seguire per invertire la rotta?

Sono dati oggettivi e occorre una transizione veloce e sistemica verso l’economia circolare. Ogni anno si ricorda l’overshoot day ovvero il giorno nel quale l'umanità consuma interamente, con forte anticipo, le risorse prodotte dal pianeta nell’intero anno. Nel 2020, con il lockdown, avevamo fatto un grosso recupero arrivando al 22 agosto. Quest’anno siamo a livello pre pandemia e a luglio avevamo già consumato tutto quanto la terra produce in un anno. Le politiche e i programmi europei su questo stanno investendo molto, quello del Green Deal è un concetto consolidato, confermato e rafforzato con NextGenerationEU, sono state allocate moltissime risorse. Mi viene da dire che il cambio di passo deve registrarsi o adesso o mai più. Anche perché probabilmente una seconda possibilità non l’avremo.

I settori che hanno potenzialità enormi per l’economia circolare secondo l’Unione Europea sono l’elettronica, il tessile, le costruzioni, l’alimentare, la plastica e l’acqua. Proprio l’acqua è per sua natura circolare, ma l’utilizzo umano deteriora il prodotto e rende più complesso il riuso. Come si deve agire concretamente?

Per un’economia circolare dell’acqua, ma anche di altre risorse dobbiamo avere chiari tre obiettivi: eco-efficientare e recuperare risorse in modo sostenibile, per un successivo utilizzo sicuro, perché l’economia circolare è pur sempre economia e quindi deve essere anche vantaggiosa sul lato ambientale, sociale e finanziario. Per questo bisogna guardare all’intera filiera. Sul fronte della sicurezza, per la salute e per l’ambiente, c’è sempre un certo scetticismo quando si parla di utilizzo delle acque reflue per l’irrigazione di campi coltivati, bisogna avere un’analisi del rischio basata su approccio e dati scientifici, per supportare le decisioni di aziende ed enti. Infine la terza sfida è la zero pollution, ovvero nel recuperare e riciclare devo diminuire l’inquinamento locale e globale, oltre che decarbonizzare.

A che punto siamo in Italia?

Partiamo da uno scenario potenzialmente molto vantaggioso perché il nostro Paese si caratterizza anche per la presenza di numerose multiutility, che già nel loro business sono multisettoriali, si occupano ad esempio di acqua, rifiuti, energia. Questa nostra tipicità, unica, è un vantaggio perché implementa sul campo una visione di insieme e connette diversi settori tra loro simbiotici e sinergici, ma spesso separati.

Ci sono dati positivi a livello italiano che forse sorprendono. Il valore della produzione bioeconomica italiana è terza in Europa con 345 miliardi dopo la Germania (414) e la Francia (359)

Siamo stati tra i primi a diminuire i quantitativi di fosforo nei detergenti già negli anni 80, i primi a recepire la Direttiva Europea per l’eliminazione dei sacchetti di plastica. Ciò che ci frena è la mancanza di un quadro legislativo certo e i tempi e la complessità dell’apparato autorizzativo che spesso rende l’investitore diffidente.

Pensare e fare economia circolare, il cambio di passo necessario al mondo

Qual è il ruolo delle città e delle Regioni in questa transizione sostenibile?

Il ruolo dei governi locali è un altro temo centrale e caro alla Commissione Europea, che ha avviato l’iniziativa su città e regioni circolari. È evidente che i governi delle Regioni devono avere un piano di azione di economia circolare che declina quello europeo a livello locale. Finora si è lavorato sulla “Smart specialisation”, ora occorre aggiungere una “S” e pensare ad una economia Smart, specialised, sustainable. Anche in questo caso la presenza di distretti specializzati sul territorio italiano ci aiuta perché è più facile creare una simbiosi industriale urbana. L’importante è che ci siano piani di azioni concreti, basati su analisi di flussi di massa e piani di sviluppo industriale e territoriale, non solo enunciazione di principi generali. Il dialogo con il mondo industriale deve avvenire proprio a livello locale, dove la simbiosi può chiudere il ciclo con filiere corte, non solo nazionale.

Le industrie come rispondono all’appello?

Esistono già piattaforme sia settoriali che intersettoriali, ma sulla simbiosi urbana industriale serve un'accelerazione. Ancora, purtroppo, assistiamo ad esercizi ed esperienze di nicchia che stentano a raggiungere una economia territoriale di larga scala. Faccio un esempio: se riesco a ricavare biopolimeri dai fanghi di depurazione di un solo impianto, per quanto grande, non riuscirò a rispondere alle richieste di una industria, ma se metto insieme le strategie delle utilities di un ampio territorio, anche sovraregionale, allora la produzione sarà adatta alla dimensione industriale che potrà specializzarsi sul business circolare.

Qualche buona pratica?

C’è il caso pioniere in Europa della Solvay che da circa 15 anni utilizza le acque reflue urbane trattate come acque di raffreddamento grazie al consorzio ARETUSA, tra la ASA Livorno, Solvay e Termomeccanica. Questo significa riutilizzare fino a 3,8 milioni di metri cubi d’acqua e prelevare meno acqua di falda per usi industriali. La decarbonizzazione è sempre più presente nei piani industriali e le aziende sono sempre più interessate ad andare in questa direzione. È un esempio la Biopiattaforma che si sta realizzando a Sesto San Giovanni: dalla lavorazione dei fanghi la Novamont recupererà 100 tonnellate all’anno di biopolimeri nell’ambito del progetto Circular BioCarbon. Numeri che permettono di convalidare piani di business e pieno sviluppo industriale.

L’economia circolare dell’acqua ha numeri importanti a livello economico: 777 milioni di fatturato, 4 mila posti di lavoro. La pandemia ha frenato questa crescita?

Al contrario. Questi sono i numeri da pre Next generation EU. Come referente in Ecomondo per il settore acque ero molto preoccupato per l’esito e la partecipazione dell’edizione 2021. Ebbene nel 2019, pre Covid avevamo avuto oltre 1200 espositori, quest’anno abbiamo recuperato il 90% del miglior risultato di sempre. Abbiamo visto grande voglia di ripartire in modo agguerrito da parte di tutti gli attori in gioco.

Qual è il punto debole italiano?

C’è ancora scarsa conoscenza diffusa e coscienza sociale, anche se le cose stanno cambiando, grazie anche a politiche europee e movimenti ambientalisti che fanno sentire la loro voce. Diciamo che se viaggio in autostrada riesco a capire in modo chiaro che consumo meno se riduco la velocità, guardando gli indicatori sul cruscotto. È più difficile capire quanto posso impattare sul surriscaldamento climatico facendo certe scelte nella vita di ogni giorno. Bisogna creare una coscienza scientifica nel cittadino perché le nostre azioni locali ed industriali non siano solo “Green washing”, ma abbiano un impatto sulle sfide globali.

Per aumentate la conoscenza diffusa su basi scientifiche, ad esempio, “Digital water city” sta sviluppando un “serious game”, un gioco a carattere scientifico, che mostra quanto è possibile diminuire la propria impronta ambientale riutilizzando l’acqua trattata dai depuratori, quanto questa scelta pesa positivamente sul bilancio idrico, energetico, sulla produttività di cibo, in ottica di decarbonizzazione. In sintesi dobbiamo imparare ad avere target basati su rilevanze scientifiche, un approccio già sposato da diverse multinazionali.

Per un’azienda che vuole intraprendere un percorso di economia circolare c’è un supporto a livello tecnico-scientifico? Quali benefici economici?

Il nostro metodo tariffario è tra i più evoluto in Europa e prevede incentivi per chi implementa economia circolare. Ci sono poi modelli di governance, strumenti solidi di finanza verde. Come sempre servono aziende “front runners”, chi apre la strada rendendo poi il percorso più semplice per chi segue. Ma ripeto: è questo il momento del fare.

 
 
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