Un anno fa pubblicavamo un’intervista ad Andrea Cancellato, Presidente di Federculture e Direttore ADI Design Museum - Compasso d’oro, provando a capire con lui cosa stava accadendo all’insieme dei soggetti che animano il settore della cultura nel pieno di quel primo e durissimo lockdown. Parliamo di attività che, prima della pandemia, generavano complessivamente circa 95 miliardi di Pil occupando 840mila persone.
La gravità dell’impatto era chiara fin dall’inizio, così come la necessità di ripensare alle modalità di produzione e offerta culturale. Per questo diverse personalità del settore, tra le quali lo stesso Cancellato, si attivarono immediatamente per promuovere la costituzione di un Fondo Cultura che consentisse di “comprare” il tempo necessario a rimodulare quelle attività adottando nuovi modelli di business e ridefinendo le modalità di fruizione culturale. Una proposta che ha trovato l’immediato impegno anche da parte del ministro Franceschini, nel frattempo confermato alla guida del Ministero della Cultura anche nel governo Draghi.
Il Fondo Cultura è da poco diventato operativo. La commissione tecnica di valutazione è presieduta proprio da Andrea Cancellato. Lo abbiamo dunque interpellato ancora una volta, da un lato per chiedergli una fotografia del settore dopo oltre un anno di pandemia e, dall’altro, perché possa illustrarci dotazione, obiettivi, e funzionamento del Fondo Cultura.
Proviamo subito a capire con il suo aiuto quale è stato l’impatto della pandemia e delle restrizioni imposte dal Governo sulle attività del settore cultura, quanto e come “ristori” e “supporti” abbiano funzionato nel mitigarlo
Vi è stato senz’altro un primo periodo di sbandamento, del tutto giustificabile vista la brutalità con cui il virus ha colpito le nostre società e le nostre economie. Poi, attraverso ripetuti interventi legislativi e amministrativi il comparto della cultura, soprattutto quello istituzionale e dello spettacolo dal vivo, è stato in larga parte supportato dal Governo e, in genere, anche da Regioni e Comuni. È stata certamente più difficile la gestione delle situazioni più “marginali” e di quelle “irregolari” che hanno potuto contare invece solo su gli interventi generali sugli “scritturati” o sui lavoratori autonomi. È possibile che qualcuno sia rimasto “fuori”, ma credo che il maggiore disagio sia stato rappresentato dall’assenza di prospettive certe e da un vero lavoro che, invece, è effettivamente mancato.